Per noi sanità, istruzione, sicurezza, ambiente, sono campi dove, in via di
principio, non dev’esserci il povero né il ricco. Perché sono beni
indisponibili alla pura logica del mercato e dei profitti. Sono beni comuni – di tutti e di ciascuno – e definiscono il grado di
civiltà e democrazia del Paese.
Ancora, l’energia, l’acqua, il patrimonio culturale e del paesaggio, le
infrastrutture dello sviluppo sostenibile, la rete dei servizi di welfare e
formazione, sono beni che devono vivere in un quadro di programmazione,
regolazione e controllo sulla qualità delle prestazioni.
Per tutto questo, introdurremo
normative che definiscano i parametri della gestione pubblica o, in
alternativa, i compiti delle autorità di controllo a tutela delle finalità
pubbliche dei servizi. In ogni caso non
può venir meno una responsabilità pubblica dei cicli e dei processi, che
garantisca l’universalità di accesso e la sostenibilità nel lungo periodo.
La difesa dei beni comuni è la
risposta che la politica deve a un bisogno di comunità che è tornato a
manifestarsi anche tra noi. I referendum della primavera del 2011 ne sono stati
un’espressione fondamentale. È tramontata l’idea che la privatizzazione e
l’assenza di regole siano sempre e comunque la ricetta giusta. Non si tratta per
questo di tornare al vecchio statalismo o a una diffidenza preventiva verso un
mercato regolato. Il punto è affermare l’idea che questi beni riguardano il futuro dei nostri figli e chiedono pertanto
una presa in carico da parte della comunità.
In questo disegno la maggiore
razionalità e la valorizzazione del tessuto degli enti locali sono essenziali, non solo per la funzione regolativa
che sono chiamati a svolgere, ma perché il presidio di democrazia,
partecipazione e servizi che assicurano è in sé uno dei beni più preziosi per i
cittadini. Superare le duplicazioni,
riqualificare la spesa, devono perciò accompagnarsi ad un nuovo e rigoroso
investimento sul valore dell’autogoverno locale che, soprattutto nella
crisi, non va visto, così come ha fatto la destra, come una specie di malattia,
ma piuttosto come una possibile medicina. A sua volta l’autogoverno locale deve
offrire spazi e occasioni alla sussidiarietà, alle forme di partecipazione
civica, ai protagonisti del privato sociale e del volontariato.
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