L’Italia è divenuta negli anni uno dei Paesi più diseguali del mondo
occidentale. La crisi stessa trova origine – negli Stati Uniti come
in Europa – da un aumento senza
precedenti delle disuguaglianze. E dunque esiste, da tempo oramai, un
problema enorme di redistribuzione che investe il rapporto tra rendita e
lavoro, mettendo a rischio i fondamenti del welfare.
Sull’altro fronte, la ricchezza
finanziaria e immobiliare è diventata sempre più inafferrabile, capace com’è di
sfuggire a ogni vincolo fiscale e solidale. Non si esce dalla crisi se chi ha di più non è chiamato a dare di più.
È la crisi stessa a insegnarci che la giustizia sociale non è pensabile come
derivata della crescita economica, ma ne costituisce il presupposto. Ciò
significa che la ripresa economica
richiede politiche di contrasto alla povertà, anche in un Paese come il
nostro dove il fenomeno sta assumendo caratteri nuovi e dimensioni angoscianti.
I “nuovi poveri”, per altro, continuano ad assistere allo scandalo di rendite o
emolumenti cresciuti a livelli indecenti, a ricchezze e proprietà smodate che
si sottraggono a qualunque vincolo di solidarietà. A tutto questo bisogna
finalmente mettere un argine.
Per noi parlare di uguaglianza significa guardare la società con gli occhi
degli “ultimi”. Di coloro che per vivere faticano il doppio: perché sono
partiti da più indietro o da più lontano o perché sono persone con disabilità.
Se poi guardiamo alle generazioni più giovani, il tema dell’uguaglianza
si presenta prima di tutto come possibilità di scelta e parità delle condizioni
di accesso alla formazione, al lavoro, a un’affermazione piena e libera
della loro personalità. Superare le
disuguaglianze di genere è indispensabile per ricostruire il Paese su basi
moderne e giuste. Non a caso, ancora una volta, il simbolo più forte di una
riscossa civica e morale è venuto dal movimento delle donne. Su questo piano la
politica, il Parlamento e il governo devono assumere la democrazia paritaria
come traguardo della democrazia tout court.
Nessun discorso sull’uguaglianza
sta in piedi se non si rimette il
Mezzogiorno al centro dell’agenda. L’Italia è cresciuta quando Sud e Nord hanno
scelto di avanzare assieme. Viceversa quando la forbice si è allargata,
l’Italia tutta si è distanziata dall’Europa. Sostenere, come la destra ha fatto
per anni, che il Nord poteva farcela da solo si è rivelato un grave errore, che
ha impoverito il Sud e il Nord insieme. Tutt’altra cosa è combattere sprechi e inefficienze con una nuova strategia nazionale
d’intervento. Il punto è farlo assieme al senso di responsabilità di tante
amministrazioni e movimenti meridionali, per correggere le storture di vecchi
regionalismi e localismi clientelari e per promuovere legalità, civismo e
lavoro.
Infine, al capitolo
dell’uguaglianza è legata a filo doppio la
questione di una giustizia civile e penale al servizio del cittadino. Su
questo piano è superfluo ricordare che gli anni della destra al governo hanno
sprangato ogni spiraglio a un intervento riformatore. Diciamo che si sono
occupati pochissimo dello stato di diritto e molto del diritto di uno soltanto
che si riteneva proprietario dello Stato. Ma così a pagare due volte sono stati
i cittadini più deboli: quelli che hanno davvero bisogno di una giustizia
civile e penale rapida, imparziale, efficiente. Nella prossima legislatura il
tema dovrà essere affrontato dal punto di vista della dignità e dei diritti di
tutti e non più dei potenti alla ricerca d’impunità.
Nessun commento:
Posta un commento